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    A questo proposito allego un articolo scritto nel 2018 da Andrea Carobene sulla rivista GNOSIS (che per chi non lo sapesse è la rivista dell’AISI, cioè il comparto dell'intelligence italiana preposto alla sicurezza interna). Spero possiate trovarlo utile.

    https://www.sicurezzanazionale.gov.it/sisr...8-Carobene-.pdf
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    Ho visto questo argomento tra i topic in cantiere e, siccome non ho trovato alcuna discussione aperta a riguardo e ho un po' di tempo a disposizione, ho pensato di iniziarne una io. Spero che sia la sezione adatta e di essere il più conciso possibile data la vastità dell'argomento.

    Già Aristotele nel IV secolo a.C. aveva intuito la natura sociale dell'uomo, lo aveva infatti definito "politikòn zôon" (animale politico) per la sua innata tendenza ad unirsi ai propri simili per formare una comunità, un gruppo. L'uomo infatti ha da sempre avuto bisogno dell'altro, sia per ragioni razionali, come il raggiungimento di uno scopo comune, sia per ragioni irrazionali (ovvero che sfuggono alla sua conoscenza) come il bisogno di aderire ad un modello, cercando di imitarlo anche nascondendo i caratteri ad esso non conformi. Le conoscenze che oggi abbiamo sono ovviamente molte di più rispetto a quelle che aveva il filosofo greco e questo ci permette di riflettere con metodo su questa peculiarità di moltissimi esseri viventi e che trova nell'uomo la sua massima manifestazione.

    La psicologia di gruppo è la disciplina che studia le dinamiche individuali all'interno di un gruppo psico-sociale. E' una branca della psicologia sociale, che può essere definita come il ponte di collegamento tra la psicologia e la sociologia, quindi fa riferimento ad asserti e teorie di entrambe le discipline.
    Il gruppo psicologico (o psico-sociale) è un insieme di due o più individui che hanno tra di loro relazioni psicologiche esplicite. Più semplicemente, il gruppo è il luogo in cui si concretizzano le relazioni umane. Vorrei soffermare la vostra attenzione sulla grandissima differenza tra una diade (gruppo composto da due elementi) e una triade (gruppo composto da tre elementi). E' molto ben spiegato nel saggio di Georg Simmel, un sociologo tedesco che fu molto interessato a questo argomento. Potreste chiedervi, che differenza può fare una persona in più o in meno? La risposta, per farla breve, è che in una diade non emerge mai una struttura di gruppo indipendente, ovvero che ciascuno dei due individui separati mantiene un alto livello di individualità. Aggiungere una terza persona significa rendere possibile l'emergere di una struttura di gruppo indipendente, ovvero che l'individualità del singolo membro è minacciata dal gruppo. Questo perché l'aggiunta di un terzo individuo rende possibile la creazione di nuovi ruoli sociali e nuove etichette, impensabili e impossibili in una diade. Simmel nota anche che non vi sono grandi differenze se il numero dei membri del gruppo cresce oltre il tre.

    Siccome, come avevo detto in precedenza, l'argomento è molto ampio, vorrei sapere il vostro parere e dove indirizzare la discussione così da renderla più utile e meno stile sermone.
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    Grazie mille, continuerò a contribuire come salteranno fuori nuovi argomenti :)
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    Scusa se mi sento di dissentire o se sembro pignolo, ma le "prove" non sono per nulla oggettive in assoluto anzi, hanno un margine di errore molto più alto di quanto si possa pensare, anche le corrispondenze di impronte digitali o la prove del DNA. Si potrebbe pensare che il loro essere condotti secondo un criterio scientifico molto preciso li renda quasi infallibili, che esistono solo casi eccezionali dove questi esami non sono affidabili, però la verità è ben altra e questa dilagante convinzione, dovuta ad un grande analfabetismo numerico, ha drastiche conseguenze anche e soprattutto a livello giudiziario.


    Vorrei ora prendere in considerazione l'esame delle impronte digitali. Tale esame fu posto sotto basi scientifiche per la prima volta da Sir Francis Galton nell'800. Egli, studiando gli archi, le spirali e i cappi da cui le impronte sono formate stimò che ci fosse circa una probabilità su 64 miliardi che due impronte fossero identiche. Il problema di tale esame è proprio qui: Galton aveva considerato ogni singolo punto di similarità, che sono circa tra i 35 e i 50, per il calcolo della sua stima, ma nella realtà non è mai così dato che normalmente le impronte rinvenute su una scena del crimine sono sia incomplete (il confronto non può essere completo ma solo frammentario) sia latenti (spesso bisogna trattarle con reagenti chimici o illuminarle con raggi ultravioletti per poterle vedere abbastanza bene) ed è impossibile individuare tutti quei punti. Si pensi che in Italia una impronta è ammissibile quando ci sono tra le 8 e le 16 corrispondenze tra questi punti mentre in Inghilterra neppure si guarda alle corrispondenze ma solo ad una impressione globale di concordanza. Nel 1998 il Federal Bureau of Investigation effettuò un controllo del tutto nuovo sulla attendibilità delle impronte digitali: Byron Mitchell (condannato per aver guidato una macchina dopo un colpo in Pennsylvania nel 1991) presentò ricorso in appello e le prove a suo carico era due impronte latenti rinvenute sul volante e sul cambio della macchina. L'FBI, per vedere quanto fosse attendibile la classica tecnica delle impronte digitali, inviò nuovamente i campioni a 53 laboratori legali dello Stato. Solo 35 risposero, di cui 8 trovarono che la seconda impronta non corrispondeva e 6 che la prima impronta non corrispondeva. Il test diede, in media, un esito negativo una volta su 5. Un risultato così sconcertante che l'American National Institute of Justice finanziò uno studio più approfondito. Per più di un secolo quindi si è presa per buona la stima di Galton senza che nessuno mettesse in evidenza come questa fosse calcolata in condizioni ideali, finendo con il radicare un pensiero illusorio di certezza nel suddetto esame.


    Per quanto riguarda la "Prova" con la lettera maiuscola, la prova del DNA, il dibattito è molto interessante e sicuramente più lungo e più complesso e non vorrei annoiare o sembrare presuntuoso (anche perché non sono un personaggio autorevole e le mie conoscenze vengono dagli studi accademici che sto portando avanti). Concludo sperando di essermi espresso bene e che il messaggio sia passato, ovvero che l'oggettività, sia in ambito giudiziario sia in altri, non esiste e l'illusione della certezza è un costrutto tutto umano da cui bisogna guardarsi.
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    Riguardo questo argomento Francesco Carnelutti era solito dire "ha fatto più vittime la testimonianza che la guerra". Infatti, da avvocato penalista, conosceva molto bene le problematiche legate al tema della testimonianza che di tanto in tanto tornano all'attenzione dell'opinione pubblica come nei processi dove sono testimoni dei pentiti di Mafia (in particolare nel caso di Gaspare Spatuzza, in riferimento all'omicidio di Giuseppe di Matteo).


    Personalmente il tema della testimonianza è molto interessante e potrebbe essere dibattuto a lungo ma una cosa resta assolutamente certa, ovvero che siamo un occhio che guarda, deforma e interpreta il mondo in infiniti modi e non potrebbe essere altrimenti. Di conseguenza, non potranno mai esistere testimonianze oggettive in assoluto.
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    Ciao a tutti, sono uno studente universitario da sempre interessato alla scienza della deduzione, al profiling e all'investigazione che spero un giorno saranno il mio lavoro, dato anche l'indirizzo di studi che ho preso. Sono incappato per caso nel forum e mi ha fatto impazzire sin da subito, sia per i contenuti in sé sia per il modo in cui sono dibattuti e presentati. Spero di poter essere d'aiuto e di imparare ancora di più.
6 replies since 29/3/2019
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