Storia dei manicomi criminali

Dalle origini ad oggi

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  1. janis
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    UNO SGUARDO ALLA STORIA DEGLI OSPEDALI PSICHIATRICO GIUDIZIARI: DA “MANICOMI CRIMINALI” A “MANICOMI GIUDIZIARI” FINO AGLI “OSPEDALI PSICHIATRICO GIUDIZIARI”

    Ispirata dal desiderio di sanare il fallimento degli O.P.G., sostenuta dall’aspirazione di garantire anche le funzioni di cura agli autori di reato socialmente pericolosi ma non imputabili, accolta con innumerevoli riserve da parte dell’opinione pubblica e politica, la legge n. 17 del 9 febbraio 2012 ha sancito il definitivo superamento degli Ospedali Psichiatrico Giudiziari, disponendo la loro chiusura entro il termine perentorio del 1 febbraio 2013. La legge inoltre ha specificato i requisiti delle strutture destinate ad accogliere le persone ricoverate in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
    Le necessità di questa riforma affonda le radici nelle principali accuse mosse contro questi istituti, accuse riguardanti per lo più la loro conformità all’istituto carcerario e l’ipotesi della loro incostituzionalità nel momento in cui viene a mancare una sola delle due finalità, ovvero quella di cura e di tutela dell’infermo oppure quella di contenimento della sua pericolosità sociale.
    La relazione di una Commissione Parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del SSN, seguita a dei sopralluoghi effettuati a sorpresa presso gli O.P.G. in Italia nel 2010, ha denunciato nella maggior parte di questi istituti le condizioni di un degrado agghiacciante dovute a: pessime condizioni strutturali e igieniche, sovraffollamento, totale assenza di attività di recupero e di cure specifiche, misure di contenzione considerate lesive della dignità umana, stato di disumano abbandono dei degenti, carenza di organico e di organizzazione.
    Ma come sono nati gli O.P.G.? Cosa possiamo dire riguardo alla loro storia?
    La terminologia di Ospedale Psichiatrico Giudiziario venne introdotta per la prima volta con l’approvazione del Nuovo Ordinamento Penitenziario L. 345/1975 in sostituzione di quella di Manicomio Giudiziario all’epoca in auge. In base al Nuovo Ordinamento, l’O. P. G. venne a far parte degli istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive insieme alle Colonie agricole, alle Case di lavoro, alle Case di cura e di custodia (L.345/1975 art. 6).
    Risalgono al XIX secolo, sia l’ipotesi che riconduce i fatti criminali a cause psichiatriche, sia l’esigenza di creare delle strutture residenziali deputate ad ospitare soggetti la cui situazione giudiziaria e clinica richiedeva particolare assistenza e trattamento. (Serra C., 2005).
    L’Inghilterra fu il primo paese ad istituire, alla fine del Settecento, un manicomio criminale, denominato “criminal’s asylum”, ideato come sezione speciale del manicomio civile e ad emanare nella seconda metà dell’Ottocento leggi per i delinquenti folli.
    In Italia, nel Codice Penale del Regno di Sardegna (1859), esteso a quasi tutto il territorio nazionale dopo l’unificazione, compare la distinzione tra “prosciolti” e “delinquenti folli” senza tuttavia individuare strutture adeguate entro cui internarli (Serra C., 2005).
    Prima dell’Unità d’Italia (1861), indipendentemente dall’eterogeneità delle leggi penali in vigore nei vari Stati, i rei non punibili a causa della malattia mentale erano ricoverati in manicomio, mentre per coloro che manifestavano segni di malattia mentale durante la detenzione in carcere erano previste punizioni corporali quali: privazioni di cibo, isolamento dagli altri detenuti, permanenza in luoghi bui e freddi (Salomone G., 2011).
    Nel nostro Paese la storia degli Ospedali Psichiatrico Giudiziari è fortemente intrecciata con i mutamenti che si sono verificati all’interno dell’ ordinamento giuridico e con le correnti riformatrici emerse all’interno della psichiatria.
    Le norme che hanno disciplinato questa materia sono state influenzate dall’evolversi del concetto di malattia mentale e dall’obiettivo di cura e/o di custodia che questo di volta in volta ha suscitato. Seppur in maniera indiretta, sia l’esaltazione della funzione terapeutica a discapito di quella di custodia del manicomio civile, sia l’affermarsi di una prospettiva rieducativa della pena su quella di custodia nell’ambito del sistema penitenziario hanno influenzato lo sviluppo degli Ospedali Psichiatrico Giudiziari in Italia.
    Un filo rosso che sottende le vicende degli O.P.G. è sicuramente il passaggio dalla denominazione di “manicomi criminali” a quella di “manicomi giudiziari” fino a quella di “ospedali psichiatrico giudiziari”. Come spiegherò più avanti si tratta di un cambiamento introdotto da mutamento di prospettiva.
    Il 1800 si è rivelato un secolo particolarmente vivace e fecondo per quanto riguarda il dibattito in ambito scientifico e giuridico nel nostro Paese.
    In àmbito scientifico, all’interno della psichiatria, emergeva un nuovo orientamento di chiara impostazione organicistica ed evoluzionista, secondo il quale la patologia psichiatrica era considerata una malattia organica del cervello, evidenziabile tra l’altro in base agli studi craniometrici e somatici.
    L’elaborazione da parte del Lombroso della teoria dell’Uomo delinquente nato o atavico poneva le basi per una concezione del delinquente folle nella duplice sfaccettatura, di malato da curare e di individuo che disturba l’equilibrio sociale, oltre che a dare impulso al riconoscimento della necessità di istituire apposite strutture di cura e di custodia.
    Nell’ambito giuridico, era in corso una diatriba tra le due principali scuole del diritto penale, ossia la Scuola Classica e la Scuola Positivista, di stampo illuminista la prima, di matrice positivista la seconda (Miravalle M.).
    La Scuola classica aveva un visione della pena con funzione con valore riparatorio e proporzionale alla gravità del reato commesso. Concentrava i suoi studi sulla volontà colpevole del soggetto, sulla responsabilità morale e concepiva il reato come una violazione cosciente e volontaria della norma penale.
    La Scuola Positivista al contrario, attribuiva alla pena una durata indeterminata, ossia fino a quando il soggetto risultava pericoloso. Sosteneva la non impunibilità di chi non può agire in piena libertà, spostando così l’accento dal reato ai problemi di personalità del delinquente, ai condizionamenti biopsicosociali, alle misure di sicurezza finalizzate a neutralizzare la pericolosità sociale.
    L’esigenza di istituire un “manicomio giudiziario” cominciò ad affermarsi in maniera più pressante nell’ambito di un dibattito che coinvolse politici, giuristi e medici alienisti intorno al 1872 (Miravalle M.).
    In quegli anni Cesare Lombroso, nell’ambito della Scuola Positiva, auspicava la fondazione di un manicomio giudiziario che potesse ospitare almeno trecento persone. Egli si poneva problemi ancora oggi attuali come: l’organizzazione, la natura della struttura (ospedale o istituto di pena), la composizione del personale (medico o giudiziario), il profilo giuridico e psicopatologico degli internati, il tipo di pena da scontare.
    Secondo Augusto Tamburini (1873), psichiatra e direttore del manicomio di Reggio Emilia, la creazione di manicomi criminali, avrebbe consentito di coniugare l’esigenza di custodia con quella di fornire cure alla malattia.
    Due Convegni dei Freniatri Italiani, rispettivamente del 1875 e del 1877, avevano come oggetto: la necessità o meno di istituire manicomi criminali anche in Italia, l’esigenza di emanare una legge che disciplinasse tali istituzioni, l’adozione di una terminologia diversa da quella scelta dall’Inghilterra, la delineazione delle caratteristiche degli individui da internare, le modalità di ammissione, di dimissione nonché le “cautele da prendere in seguito alla dimissione”, l’inadeguatezza delle carceri rispetto all’esigenza di curare i delinquenti che impazzirono durante l’espiazione della pena (Salomone G., 2011).
    Nel 1876, il direttore generale delle carceri Martino Beltrani Scalia, in assenza di disposizioni legislative, organizzò ad Aversa la prima “Sezioni per maniaci” nell’ex convento del Cinquecento di San Francesco da Paola, deputata ad ospitare 19 persone.
    Si trattava in realtà, di una Sezione che differiva dall’idea di manicomio giudiziario ideata dal Lombroso, sia perché nata all’interno di un istituto di pena e non di un manicomio civile, sia perché destinata ad accogliere soltanto i rei-folli, ossia detenuti già condannati, riconosciuti delinquenti dall’autorità giudiziaria e “impazziti” in seguito alla detenzione.
    Negli anni successivi, nonostante il dibattito fosse ancora aperto, sorsero altri manicomi giudiziari: quello di Montelupo fiorentino nel 1886, quello di Reggio Emilia nel 1892, quello di Napoli nel 1923, a Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina nel 1925, a Castiglione delle Stiviere 1939, a Pozzuoli nel 1955.
    Il 1° gennaio 1890 entrò in vigore il Codice Zanardelli, il primo codice penale dell’Italia Unita. Anche se nel nuovo testo non si parlava mai di manicomi giudiziari, venne introdotto il concetto di non imputabilità per vizio di mente che ebbe degli effetti diretti sul trattamento dei folli-rei: uno degli articoli infatti, sanciva che colui che è privo di libero arbitrio a causa della malattia mentale non è punibile in base ad una concezione monistica retributiva della pena (Miravalle M.).
    Il 1891 vede Cesare Lombroso, Pietro Tamburini e Filippo Ascenzi in prima linea nel coordinare i lavori di una ispezione promossa dal ministero dell’Interno e rivolta ai 61 manicomi del Regno, tra i quali due manicomi criminali, quello di Montelupo Fiorentino e quello di Aversa. Al termine dell’ispezione i medici alienisti stilarono una relazione dettagliata nella quale denunciavano l’inadeguatezza della direzione dei manicomi criminali esistenti. Inoltre, a Montelupo e ad Aversa continuavano ad essere internati solo i condannati impazziti in seguito alla detenzione e non i folli-rei.
    Il termine Manicomio Giudiziario, venne introdotto per la prima volta in maniera formale nel Regio Decreto del 1 febbraio1891, contenente il regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi, in cui veniva sancita la materia relativa a tali istituzioni.
    Dalle testimonianze di quel periodo emerge che i manicomi criminali erano qualcosa di diverso rispetto a ciò per cui erano stati concepiti. Sostanzialmente non erano delle strutture sanitarie. Sebbene concepiti a scopo profilattico rispetto al crimine, venivano utilizzati come luoghi per la gestione punitiva della follia. Essi non differivano dalle carceri, né per il Regolamento, né per la gestione, affidata quest’ultima ad un Direttore Amministrativo, anziché Sanitario. Di fatto, la non afflittività del manicomio criminale, che avrebbe dovuto differenziare la segregazione del manicomio da quella carceraria non venne mai realizzata (Miravalle M.).
    La legge n. 36 approvata il 14 febbraio 1904 nei suoi 11 articoli si occupò dei manicomi rimanendo su un piano organizzativo e affrontò ancora con una certa omogeneità le discipline dei malati di mente autori di reato e di quelli non autori di reato, distinguendo soltanto la denominazione degli istituti, manicomi giudiziari per i primi, manicomi comuni o civili per i secondi.
    La legge in questione rifletteva in pieno una concezione della malattia mentale come qualcosa di pericoloso per la società e l’esigenza di garantire la sicurezza sociale, piuttosto che la cura, anche per mezzo della segregazione. Un esempio a sostegno del fatto che la legge si interessava alla salute del singolo in rapporto al danno che poteva arrecare alla salute collettiva: essa escludeva il ricovero in manicomio per tutti i malati di mente la cui manifestazione della malattia non era tale da turbare l’ordine pubblico. Di conseguenza, potevano essere internati in manicomio anche “soggetti sani di mente”, ma di pubblico scandalo, come le prostitute o le persone che si mostravano abitualmente in pubblico con abiti succinti (Miravalle M.)
    Tuttavia, a partire dal 1904 la gestione dei manicomi giudiziari, venne affidata soltanto ai medici alienisti e non più ai direttori amministrativi (vd. Regio decreto del 5 settembre 1904, Alessandro Doria, direttore delle carceri).
    Nel 1930 entrò in vigore il Codice Rocco, segnando un punto di svolta importante nell’ordinamento giuridico del nostro Paese. In generale, il Codice Rocco adotta un sistema penale misto: accanto alle pene applicabili nei confronti dei soggetti imputabili, prevede misure di sicurezza per soggetti riconosciuti socialmente pericolosi (c.d. sistema del doppio binario). L’accento è sul controllo dell’autore non imputabile di reato, controllo affidato al sistema penale.
    Per gli infermi di mente il Codice Rocco prevede in maniera obbligatoria e automatica la misura di sicurezza del ricovero a tempo indeterminato in manicomio giudiziario, mentre per i soggetti semi-infermi di mente l’assegnazione in casa di cura e di custodia. (Salomone G., 2011)
    Se da un lato venne riconosciuta quella eterogeneità di trattamento tra infermi autori di reato e non autori di reato che mancava alla legislazione precedente, dall’altro la follia entrò nel sistema penale attraverso il concetto di “pericolosità sociale”, spesso presunta o dichiarata a priori dal codice.
    Dopo anni in cui venne messa da parte, la materia dei manicomi giudiziari riemerse di nuovo con l’approvazione del nuovo Ordinamento penitenziario L. 354/1975, in cui la denominazione di “manicomio giudiziario” viene modificata in quella attuale di Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Tale cambiamento formale rifletteva sicuramente l’affermarsi dell’idea che i folli rei dovessero essere curati e riabilitati, anziché puniti, all’interno di strutture più simili a degli ospedali piuttosto che a delle carceri.
    Uno degli aspetti più innovativi di questa normativa è che, a differenza di quanto avviene per i detenuti normali per i quali sono in vigore della restrizioni, esiste la possibilità per gli internati in O.P.G. di usufruire della concessione del regime di semilibertà, ossia la possibilità di trascorrere parte del giorno al di fuori dall’istituto per partecipare all’attività lavorativa, indipendentemente dal tipo di reato commesso.
    Veniamo alla legge 180, approvata il 13 maggio 1978, nota come legge Basaglia, poi confluita nella legge n. 833/1978 sulla Riforma del Sistema Sanitario Nazionale.
    Tale normativa non fa alcun riferimento esplicito ai folli rei e agli O.P.G.. Come sottolinea lo psichiatra V. Andreoli infatti, la riforma riguardava la sanità e non la giustizia, mente gli O.P.G., a differenza dei manicomi civili, erano gestiti dal Ministero di Grazia e di Giustizia, non da quello della Sanità.
    Tuttavia, la riforma testimonia di alcune conquiste culturali e metodologiche di cui beneficiarono seppur in maniera indiretta anche gli O.P.G. quali: l’affermazione del termine“malato” su quello di delinquente; l’abbandono di una prospettiva della custodia e della segregazione sulla quale era basata la normativa manicomiale del 1904; l’introduzione di interventi di terapia riabilitativa, che si erano imposti in ambito psichiatrico e che sono rintracciabili ancora oggi nelle proposte di riforma degli O.P.G. e delle misure di sicurezza.
    Un salto temporale un po’ ampio ci porta alla normativa del 2012, che non abolisce di certo la misura di sicurezza detentiva, ma prevede nuove strutture con una gestione sanitaria interna e una attività di vigilanza esterna da parte degli agenti di polizia, allo scopo di migliorare le condizioni di vita degli internati.
    Le tendenze riformatrici più attuali degli O.P.G. tendono ad una sanitarizzazione di questi istituti, attraverso il trasferimento delle loro funzioni sanitarie dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Ministero di giustizia), al Sistema Sanitario Nazionale, alle regioni (Gatta G.L).
    Di fatto gli O.P.G. sono stati chiusi per legge il 31/03/2015. Attualmente, nel 2016, altre strutture ospitano gli ex internati degli O.P.G: si tratta delle REMS il cui acronimo sta per Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza sanitaria.
    Esse operano quindi in totale sinergia con i CSM/Ser.T del territorio. Per ogni ospite esiste un Progetto Terapeutico Riabilitativo Personalizzato, di cui è responsabile il CSM di competenza territoriale, e un Piano Terapeutico e riabilitativo Residenziale, di cui è responsabile la Residenza.
    Rileggendo questo breve excursus sulla storia degli O.P.G., risaltano le vicende alterne che hanno portato questi istituti ad essere di volta assimilati ai manicomi civili o ai sistemi carcerari in seno ai quali originariamente erano nati seppur con l’intento di differenziarsene.
    Sembra che non possa esserci per gli O.P.G. la possibilità di acquisire uno statuto autonomo, essendo legati ai manicomi civili dal filo rosso della malattia mentale e alle istituzioni di pena essendo essi stessi per definizione delle misure di sicurezza detentive.
    Fin dal loro nascere, gli O.P.G sono apparsi segnati da una certa confusione rispetto alla tipologia di infermi da internare, rei folli e/o folli rei.
    Nel corso dei secoli non sono mancati momenti di scontro tra medici alienisti da un lato e giuristi dall’altro sia in merito a l’accento da porre all’aspetto della cura o della detenzione, sia in merito a chi potesse stabilire l’infermità mentale.
    Si è dovuto aspettare l’entrata in vigore del Codice Rocco nel 1930 per poter assistere ad un trattamento eterogeneo tra infermi autori di reato e infermi non autori di reato.
    Si può dire che la storia degli O.P.G. sia stata afflitta da buchi enormi nella legislazione che disciplina in maniera specifica questa materia: si pensi alla prima Sezione per maniaci creata dal direttore delle carceri M. Scalia Beltrani in assenza di disposizioni legislative in merito.
    Vi sono stati periodi in cui la realtà di queste istituzioni totali e segreganti sembrava ingoiata dall’oblio e dall’indifferenza più totali, momenti in cui è stata relegata ai margini dell’interesse politico e legislativo, tanto che gli O.P.G., non ricevendo una legislazione specifica hanno beneficiato in maniera indiretta dell’introduzione, ad es., della non imputabilità per vizio di mente introdotta dal Codice Zanardelli oppure delle forme di riabilitazione introdotte dalla L. 180/1978 in ambito psichiatrico.
    Un intervallo di tempo pari a quasi un secolo separa il Codice Zanardelli dalla legge citata.
    Due secoli abbondanti intercorrono tra l’ispezione del 1891 ad opera del Lombroso, di Tamburini e di Ascenzi che coinvolse due manicomi criminali dell’epoca e quella della Commissione Parlamentare presieduta dal Presidente Sen. I. Marino del 2010.
    Eppure, attingendo direttamente dai testi costituiti dalle relazioni emerse, le criticità sembrano essere le stesse e le questioni sembrano richiamarsi l’un l’altra a distanza di tempo in un eco temporale inquietante: quale deve essere la natura delle strutture deputate ad ospitare i prosciolti e i rei folli? Deve essere di tipo ospedaliero oppure più assimilabile ad un istituto di pena? Il personale presente nell’organico deve essere di tipo medico oppure o di tipo giudiziario? La Direzione deve essere affidata ad un Direttore Sanitario o ad un Direttore Amministrativo?
    Questi e altri interrogatici si accavallano alla presa di coscienza dell’inadeguatezza delle strutture attuali come di quelle precedenti.
    L’etichetta di “malati mentali” affibbiata agli ospiti degli O.P.G, se per alcuni aspetti porta tutto il peso dello stigma sociale, per altri sembra l’unico spiraglio in grado di garantire gli intenti di cura e di riabilitazione all’interno di queste strutture, l’unico margine per scongiurare la messa in atto di quelle misure di contenzione lesive della dignità umana riscontrate dalla Commissione Parlamentare di Inchiesta del 2011: ad es., contenzione di persone nude, legate ai letti, anche metallici, in letti con materassi provvisti di un buco al centro per espletare i bisogni fisiologici, etc., etc.,.
    Qualcosa sembra ripetersi nella storia di queste strutture segreganti tanto che le testimonianze e inchieste nei secoli ne hanno da sempre messo sempre in evidenza un loro tratto distintivo: la diversità della loro realtà rispetto agli intenti per i quali erano state concepite, la loro distanza dai disegni legislativi, la loro lontananza dai principi costituzionali.

    BIBLIOGRAFIA
    Andreoli V., Anatomia degli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani, Dipartimento
    Amministrazione Penitenziari-Ufficio studi e ricerche, Roma, 2002, pag. 18.
    Serra C. , “Nuove Proposte di criminologia applicata”, Giuffrè 2005
    SITOGRAFIA
    Relazione sulle condizioni di vita e di cura all’interno degli ospedali psichiatrici giudiziari del 20 luglio 2011 della Commissione parlamentare d’inchiesta, in www.senato.it
    Miravalle M., La riforma della sanità penitenziaria: il caso degli ospedali psichiatrico giudiziari, www.altrodiritto.unifi.it
    Salomone G., Storia degli o.p.g: i manicomi criminali, www.sospsiche.it
    G. L. Gatta, La riforma degli ospedali psichiatrici giudiziari in Libro dell’anno del Diritto 2013 – Treccani

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    www.lacanlab.it/uno-sguardo-alla-st...ico-giudiziari/
     
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  2. Vivioz
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    Ciao, bravo bell'articolo!!!
    Ottimo il fatto che hai messo le fonti per gli approfondimenti.
    Fa capire perfettamente il paradosso che sta dietro agli OPG oggi REMS.
    Su una cosa inoltre c'è da riflettere: il sistema del doppio binario che hai inserito.
    Questo prevede che ai soggetti imputabili(capaci di intendere e di volere) e a quelli semi imputabili socialmente pericolosi autori di reati possa applicarsi SOLO nei casi previsti dalla legge OLTRE alla pena(art 17 c.p.) la misura di sicurezza dopo l'esecuzione della pena(art 202 c.p.).
    Si tratta in realtà di una doppia pena.
    Il sistema del doppio binario doveva essere abolito con le 5 riforme del codice Rocco, tutte però rimaste ferme.
    Gli OPG anche dopo l'entrata della costituzione sono riusciti a rimanere in vita(e tutt'oggi lo sono ma con nome diverso, appunto REMS) grazie alla completa congruenza con l'art 272 costituzione che indica il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del reato. Questo inoltre richiama al principio di rieducatività del condannato.

    Il codice Rocco si presenta a noi oggi come un codice si ben fatto dal punto di vista tecnico, ma non più coerente dal punto di vista dei contenuti. Gli OPG ne sono una conferma come anche le continue modifiche da parte della legislazione penale, come il sistema del doppio binario e come tutte le opinioni contrastanti di dottrina e giurisprudenza.
     
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1 replies since 30/11/2016, 13:18   165 views
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