Pasolini venne ucciso per le sue scoperte

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    Sherlock Holmes

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    Tornano all'esame della Procura della Repubblica di Roma le circostanze dell'uccisione di Pier Paolo Pasolini per la quale fu condannato Pino Pelosi che all'epoca del fatto aveva 17 anni

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    A sollecitare nuovi accertamenti è stato l'avvocato Stefano Maccioni legale di Guido Mazzoni, cugino di Pasolini. L'avvocato Maccioni è intervenuto a "La Storia Oscura", trasmissione di Radio Cusano Campus, emittente dell'Università Niccolò Cusano. "Pasolini - afferma Maccioni - è stato ucciso per quello che aveva scoperto, per quello che diceva e scriveva sui principali giornali italiani. Era arrivato a dei documenti evidentemente troppo importanti. E poi rimane il giallo del furto delle pellicole del film Salò e le 120 giornate di Sodomà: un film a cui Paolini teneva moltissimo. Non a caso dall'ultima inchiesta (quella di 5 anni dal 2010 al 2015 poi archiviata, ndr) emerge che molto probabilmente Pasolini fu attirato in una trappola proprio con la scusa di restituirgli quelle pellicole, perché sicuramente non si va all'idroscalo di Ostia per consumare un rapporto sessuale partendo dalla Stazione Termini. Pelosi fece da esca".

    "Non dimentichiamo infatti - aggiunge il legale - che Pelosi conosceva Pasolini da tempo, non lo conobbe certo la sera dell'omicidio. Purtroppo però - prosegue l'avvocato Maccioni - tutti questi dettagli nel primo processo non vennero fuori, tutti si adagiarono su una verità precostituita facendo passare il delitto Pasolini come un delitto a sfondo sessuale. Quindi, risaliamo agli esecutori materiali dell'omicidio, poi arriveremo a scoprire anche il movente e il mandante o i mandanti del delitto Pasolini". Per il legale è "importante riaprire il caso grazie a una traccia verosimilmente ematica trovata sulla maglia intima di lana a maniche lunghe di Pino Pelosi. Quella traccia attesta in maniera inconfutabile che almeno una terza persona oltre a Pelosi e Pasolini era presente all'idroscalo di Ostia nella notte in cui il poeta fu ucciso. Occorre indagare sulla malavita dell'epoca e su quelli che erano i componenti della neonascente Banda della Magliana cioè quelli che erano gli eredi della Banda dei Marsigliesi. Ricordiamo che l'autista dei Marsigliesi Antonio Pinna fu in qualche modo coinvolto nel delitto Pasolini prima di sparire misteriosamente pochi mesi dopo l'uccisione del poeta. D'altronde, le testimonianze dell'epoca e quelle successive, portano tutte allo stesso punto: quella notte all'idroscalo di Ostia quando Pasolini veniva ucciso c'erano più persone. E questo in qualche modo inizialmente lo dissero anche i giudici".

    "Ma le dichiarazioni a distanza di 40 anni non sono sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio. A oggi - ha concluso il legale della famiglia Pasolini- serve una prova inconfutabile e noi quella prova inconfutabile per fortuna ce la possiamo avere e sono quelle tracce biologiche che ritrovate dai Ris in seguito agli esami effettuati nel 2010; in particolare quella traccia ematica con la quale, grazie alle moderne tecnologie, è possibile arrivare a scoprire chi altro c'era quella notte all'idroscalo oltre a Pelosi e Pasolini".

     
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  2. janis
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    Bel post.
    Le 120 GDS si inseriscono nel trittico della morte, trilogia mai conclusa a causa del prematuro decesso. La filmologia di P., ricca e complessa, è da sperimentare più volte nella vita per via dei significati celati e dei profondi collegamenti letterari a cui fa riferimento.
    Pasolini ha scritto per il Corriere della Sera; i suoi articoli sono raccolti nel volume "Scritti Corsari" e possono darci un'interessante spunto circa la sua visione delle cose.
    Pasolini era un intellettuale ma anche un'artista e non sempre gli intellettuali sono tali. Le sue considerazioni hanno un sapore profetico reso possibile dall'insieme di questi due aspetti. Poeta, filantropo, visionario, uomo di eccellente cultura e di comprovata levatura umana, prognostico' le sorti di questo paese con esattezza sconcertante.
    Lascio questa dichiarazione di Eduardo De Filippo, drammaturgo, attore, intellettuale profondamente legato al poeta da fraterna amicizia.
    Per i posteri.

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  3. janis
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    Documento
    Corriere della Sera, 14 novembre 1974

    Cos'è questo golpe? Io so
    di Pier Paolo Pasolini

    Io so.
    Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
    Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
    Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
    Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
    Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
    Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
    Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
    Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
    Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
    Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
    Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
    Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
    Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
    Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
    Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
    A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
    Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
    Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
    Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
    Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
    Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
    All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
    Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
    Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
    È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
    Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
    Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
    La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
    Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
    Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
    Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
    Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
    L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
    Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
    Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
    E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
    Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
    Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

    www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html
     
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