Gianfranco Stevanin

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    Gianfranco Stevanin nasce il 21 ottobre 1960 a Montagnana, un piccolo paesino in provincia di Padova. I suoi genitori sono Giuseppe Stevanin e Noemi Miola, due proprietari terrieri, che vivono della rendita dei propri terreni. Non comprano nemmeno da mangiare, ci pensa Giuseppe Stevanin a uccidere il bestiame. Gianfranco si rifiuterà sempre di aiutarlo, perché prova ribrezzo ad uccidere e a sventrare gli animali.
    Quando il piccolo Stevanin ha 5 anni, è costretto ad entrare in un collegio di preti per un annetto. Sua madre ha in corso una gravidanza molto difficile (che infatti sfocerà poi in aborto) e la coppia non può badare anche al figlioletto.
    Tornato a casa, Stevanin comincia a dare una mano nei campi, ma rimane presto vittima di uno stupidissimo incidente: scivola nel fango e, nella caduta, sbatte la testa contro un attrezzo agricolo. L'incidente non gli costerà solo i quattro punti di sutura. I genitori iperprotettivi di Gianfranco decidono infatti di chiuderlo in un collegio di suore, evitando così che il loro ragazzo si faccia nuovamente del male nei campi.
    Nel collegio Stevanin passa gli anni delle elementari, gli anni delle medie e i primi due anni delle superiori. Gli vengono a mancare le figure dei genitori e comincerà a fare affidamento solamente su se stesso.
    A 13 anni ha anche la sua prima esperienza sessuale. Viene usato da una 24enne sposata e insoddisfatta, ma Gianfranco non si oppone.

    Stevanin torna a casa nel 1975, ha 15 anni. Evidentemente non è un ragazzo molto fortunato, perché nemmeno un anno dopo, il 21 novembre 1976, la sua vita ha un'ulteriore svolta negativa: Gianfranco, che va pazzo per le motociclette e il motocross, cade dalla moto e si procura un grave trauma cranico. Finisce in coma per un paio di settimane e, dopo un mese, deve subire un intervento chirurgico molto delicato.
    Uscirà dal Policlinico di Verona a gennaio, l'incidente gli ha decisamente cambiato la vita. Oltre ad aver perso molti amici, il trauma cranico gli ha lasciato in eredità un focolaio epilettico e, cinque anni dopo, gli verrà una meningite batterica da infezione. Non sono le uniche conseguenze, Gianfranco Stevanin ha anche dei cambiamenti comportamentali, sia nella sfera sessuale che nei rapporti con gli altri, un lento ma evidente mutamento del carattere osservato da tutti: parenti, amici, fidanzata. È costretto inoltre ad abbandonare gli studi, perché non riesce a stare concentrato troppo a lungo, gli viene l'emicrania.
    Il suo rapporto con il sesso è molto strano, va matto per la pornografia e gli piace fotografare le sue amiche nude o in pose oscene. La prima fidanzata vera e propria, Donatella, viene obbligata per due anni a indossare mutandine osé comprate al mercato.

    Tra il 1978 e il 1983, Stevanin macchia in diverse occasioni la propria fedina penale: simulazione di reato (fa finta di essere stato rapito e chiama i genitori per chiedere il riscatto), violenza privata (finge di avere una pistola in tasca e obbliga una ragazza ad accompagnarlo ad una festa), rapina (sempre fingendo di avere una pistola in tasca, obbliga una ragazza a dargli i suoi gioielli). Nel 1983, è responsabile di un incidente stradale, nel quale una ragazza perde la vita. Verrà condannato per omicidio colposo. Nel 1989, rapisce e violenta una prostituta di Verona, Maria Luisa Mezzari. Questo suo ultimo crimine rimarrà ignoto per diversi anni, venendo allo scoperto solo in sede di processo, quando Gianfranco Stevanin per l'Italia è già un mostro.

    In mezzo a tutti questi crimini, Gianfranco conosce l'Amore, quello vero, quello con la A maiuscola. Un rapporto che durerà per cinque anni, tra l'80 e l'85, quando Stevanin ha tra i 20 ei 25 anni. Lei si chiama Maria Amelia ed è una sua coetanea.
    Stevanin ha dei progetti di vita su questa ragazza, non si sente abbastanza grande per il matrimonio, ma sente che è la donna giusta. Nel 1985, Maria però si ammala gravemente e gli iperprotettivi genitori di Gianfranco premono affinché lui smetta di frequentarla. I rapporti con i suoi rischiano di deteriorarsi, perciò Stevanin li accontenta e molla Maria.
    Quando, dopo qualche tempo, ritornerà a cercarla, lei si è rifatta una vita sentimentale. Stevanin ne soffrirà moltissimo.
    Dopo questa love story andata male, Gianfranco Stevanin non avrà altri rapporti sentimentali. Cambia anche la sua concezione delle donne, che diventano da buone a cattive, e vengono considerate alla stregua di semplici tappabuchi con cui passare il tempo.
    Gianfranco comincia a scoprire il sesso occasionale, quello di una notte. Comincia a frequentare le prostitute in giro per il Veneto, e comincia a sviluppare un profondo interesse per il sesso estremo.

    Nel giro di poco tempo, Stevanin trasforma il proprio casolare in una sorta di "club privé" a luci rosse, con tanto videocassette, riviste porno, vibratori, mutandine di pizzo e reggicalze, borchie e tutine di cuoio, cinghie e palline di varie dimensioni. Adocchia preferibilmente le prostitute sulle strade di grande transito e le incanta, spacciandosi ora per produttore tv, ora per agente alla ricerca di top model, ora per fotografo, ora per campione di moto o pilota d'aereo.
    Gli è rimasta la passione per le foto, ne collezionerà ben 7000 che lo ritraggono con le sue compagne occasionali, sopratutto mentre fanno l'amore. A volte si fa immortalare mentre gli prendono le misure: trentadue centimetri, come John Holmes, il divo porno suo grande idolo.
    Gli piace rasare le ragazze con le quali passa la notte perché ha un grande desiderio: riuscire a realizzare un giorno un cuscino imbottito di peli pubici femminili.
    Lega le mani alla partner, oppure la obbliga a mettersi cappucci o a farsi imbavagliare, spesso contorna il tutto con stupefacenti e sesso estremo.

    Non tutte le ragazze hanno la fortuna di uscirne vive. Una muore perché, durante il rapporto, Stevanin le stringe troppo forte il braccio intorno al collo. Un'altra morirà perché Stevanin vuole provare il "bondage" con un sacchetto di nylon in testa. Un'altra muore perché lui le stringe le mani intorno al collo mentre ha l'orgasmo.
    Questi "intoppi" non spaventano assolutamente il freddo e spietato serial killer veneto. Gianfranco trasforma velocemente il suo club privé in un obitorio, seziona i corpi, taglia gli arti e fa a pezzi il tronco. Le teste le rasa e le fa sparire, occulta il tutto nella campagna vicina.
    La prima ragazza sparisce il 15 gennaio del 1994, è Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente, attirata nella villa con la promessa di 15 scatole di Roipnol, un potente farmaco per le crisi di astinenza. In cambio, Stevanin chiede il permesso di scattarle alcune foto "particolari".
    A novembre dello stesso mese, risale invece la sua ultima vittima, una prostituta austriaca, Gabriele Musger, che gli sarà fatale.

    È la sera del 16 novembre 1994, siamo a Vicenza. Stevanin ha avvicinato la prostituta austriaca e le ha chiesto quanto vuole per delle foto. Gabriele Musger gli chiede un milione di lire ed esige che non le venga fotografato il volto. Ottenuta la promessa da Gianfranco, la prostituta sale a bordo della Lancia Dedra.
    Nel casolare dell'uomo, la povera Musger è sottoposta per ore a rapporti violenti, giochi erotici estremi, ed è costretta a farsi scattare foto pornografiche. Tenta anche di fuggire dalla finestra del bagno, ma la trova sigillata.
    Quando la ragazza rifiuta di farsi legare nuda al tavolo, di schiena, con gli occhi bendati, per farsi scattare altre foto, Stevanin si infuria, la minaccia con una pistola e con un taglierino.
    La prostituta ha paura, lo supplica, gli offre 25 milioni di lire per farsi liberare. Stevanin accetta di buon grado, prima però esige un altro rapporto sessuale.
    I due salgono quindi in macchina, diretti alla casa di Gabriele, dove sono i 25 milioni. Al casello di Vicenza Ovest, mentre Gianfranco Stevanin è intento a pagare il pedaggio, Gabriele Musger lo beffa, si lancia fuori dall'auto e corre in direzione di una pattuglia della Polizia Stradale, ferma proprio lì vicino. La donna denuncia il proprio cliente per violenza sessuale e, poiché nell'auto viene rinvenuta una pistola giocattolo priva del tappo rosso, la polizia è costretta ad arrestare Gianfranco Stevanin.
    Mentre Stevanin è in fermo, suo padre muore per cancro polmonare. Vengono inoltre compiuti i primi sopraluoghi presso la sua abitazione di Terrazzo (paesino in provincia di Verona).

    Durante le perquisizioni, i carabinieri trovano diverso materiale incriminante, che viene immediatamente messo sotto sequestro: un taglierino, due pistole giocattolo, indumenti intimi, capi d'abbigliamento femminile, borsette da donna ed i documenti di cinque ragazze. Poi ancora, circa 150 contenitori di foto, per un totale di oltre 7000 fotografie, negativi non ancora sviluppati, decine di videocassette porno, una capigliatura bionda, contenitori con peli pubici, giornali pornografici, lettere ad amanti e fidanzate, santini ed immagini di libri sacri (soprattutto Padre Pio), riviste, romanzi, enciclopedie di medicina, atlanti di anatomia, volumi sull'uso della macchina fotografica e, infine, le famose "schede" sulle prestazioni di alcune donne, che saranno fondamentali a collegarlo con le vittime.
    Relativamente ai capelli ed ai peli, Stevanin, in un primo momento, informa che sono di tre o quattro donne, successivamente dice di averne rasate parecchie, non ricorda però il numero preciso.
    I libri e le lettere saranno invece molto importanti per la costruzione del profilo psicologico del criminale.

    Per la polizia, Gianfranco Stevanin non è ancora un Serial Killer, è semplicemente un pervertito che ha minacciato e violentato una prostituta austriaca a scopo di estorcerle 25 milioni. Perciò viene condannato semplicemente a tre anni di carcere.
    C'è però qualcosa che insospettisce gli inquirenti: tra i documenti e gli indumenti, rinvenuti durante le perquisizioni nella casa di Terrazzo, ci sono anche quelli appartenenti a Biljana Pavlovic, cameriera serba di 25 anni, residente ad Arzignano (Vicenza), della quale non si hanno notizie dall'agosto del 1994, e di Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente di Legnano (Verona) che, come abbiamo già visto, risulta scomparsa il 15 gennaio dello stesso anno. Le due ragazze figurano anche nelle schede delle prestazioni.
    Stevanin dice che gli abiti sono un pegno d'amore che gli avrebbero lasciato le due ragazze, ma è davvero difficile immaginare che siano uscite dalla sua villa nude. E per andare dove?

    Il 3 Luglio 1995, sempre a Terrazzo, poco distante dalla casa di Stevanin, un agricoltore trova in un fosso, in disuso da tempo, un sacco contenente un cadavere.
    È passato quasi un anno dall'arresto del perverso Gianfranco Stevanin e, grazie a un incredibile colpo di fortuna, è emersa la sua prima vittima. Ci vorrà un altro anno prima che il killer confessi le sue colpe, ma intanto le indagini cominciano seriamente, condotte dai carabinieri e da un nuovo magistrato, Maria Grazia Omboni. Tre giorni dopo il ritrovamento fortuito, Stevanin, adesso indagato per omicidio volontario ed occultamento di cadavere, viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Montorio, e a Terrazzo arrivano le ruspe.
    12 Novembre 1995. Viene trovato il cadavere di una giovane donna, piegato in due, avvolto in un ampio telone blu del tipo usato in agricoltura, e sepolto ad un'ottantina di centimetri di profondità. A differenza del 3 Luglio, questa volta il ritrovamento non è casuale e, soprattutto, non è in un luogo qualsiasi: il cadavere è stato sotterrato proprio in un podere della famiglia di Gianfranco Stevanin. Dopo gli esami del DNA e la ricostruzione del volto, viene appurato che si tratta di Biljana Pavlovic.
    1 Dicembre 1995. Viene disseppellito il terzo e ultimo cadavere, sempre avvolto in un bozzolo di pellicola trasparente: è Claudia Pulejo.
    Nel giro di pochi mesi Gianfranco Stevanin è diventato da uno stupratore a essere "il mostro di Terrazzo".
    Gli omicidi contestati a Stevanin non sono solo i tre legati ai cadaveri ritrovati, bensì cinque, due dei quali sono solo supposti. Tra le foto rinvenute durante le perquisizioni, è stata infatti riconosciuta Roswita Adlassnig, una prostituta austriaca scomparsa da tempo, mentre in un'altra foto si vede una donna, mai identificata, ritratta in una pratica erotica estrema e che, apparentemente, sembrerebbe essere priva di vita.
    Comincia il braccio di ferro tra gli inquirenti e Gianfranco Stevanin. L'uomo racconta delle cose, poi nega, ha dei vuoti di memoria e sembra confuso. Solo in futuro scopriremo che è tutta una finzione per sembrare incapace di intendere e di volere, per farla franca alla giustizia.
    Nel frattempo vengono predisposte anche le tre perizie d'obbligo per questi casi di processo: una d'ufficio, una della difesa e una dell'accusa.

    Gli esperti si incontrano diverse volte con l'imputato. Dialogano con lui della sua vita, di sua madre soprattutto, e alla fine tirano le loro conclusioni. Per i periti dell'accusa e per quelli del tribunale, Gianfranco Stevanin è un individuo sano, abbastanza intelligente (Q.I. 114), calcolatore. Non soffre assolutamente di disturbi psicosomatici o del comportamento. Sicuramente il rapporto con la madre iperprotettiva e le disavventure della sua vita lo hanno segnato in qualche modo, è comunque in grado di intendere e di volere ed è perciò processabile.
    Di idea completamente diversa sono i periti della difesa, che cercano di ricondurre tutti i problemi di Gianfranco a quel fatidico incidente in moto del 1976. Secondo la difesa, Stevanin, in seguito all'incidente, "ha sofferto di una complessa sindrome psicopatologica su base organica di origine post-traumatica, ben dimostrabile sul piano strutturale e funzionale (esami TAC e RMN), che interessa entrambi i lobi frontali, il lobo temporale destro ed alcune strutture profonde del sistema limbico, sede degli istinti, dell'aggressività e della memoria". In parole povere, per colpa dell'incidente Stevanin soffre di disturbi alla memoria e al comportamento, che lo rendono aggressivo e smemorato.

    Tra il 19 luglio e il 23 agosto del 1996, a modo suo, Gianfranco Stevanin decide finalmente di "confessare" quattro delitti: quattro ragazze gli sono morte tra le braccia, tre durante rapporti sessuali spinti all'estremo, una, la Pulejo, per overdose da eroina. Ci sono voluti tre interrogatori per delineare meglio la vicenda della terza vittima. Sarebbe una studentessa universitaria, incontrata solo tre o quattro volte.
    Stevanin spiega i delitti in maniera strana, come sogni, come lontani ricordi, come momenti in cui agiva senza sapere quello che stava facendo, e liquida molti particolari con un freddo "non ricordo". Racconta, sotto forma di deduzioni o presunzioni, di aver sezionato il cadavere della studentessa, al fine di occultarlo. Le avrebbe tagliato prima gli arti, le gambe, poi le braccia, ricavando due pezzi per ogni arto. Ricorda vagamente che la ragazza era abbastanza giovane con dei lunghi capelli biondi, ma del volto non ha nessun ricordo. È sicuro anche di aver vomitato una volta durante il sezionamento, di aver visto molto sangue. Afferma di avere come dei flash in cui si trova di notte sulla sponda di un ampio canale, in due punti, dove avrebbe potuto gettare i cadaveri.
    Insomma Gianfranco Stevanin non è solo un perverso omicida, è anche un grande attore e la sua migliore interpretazione è sicuramente quella del matto. Questa sceneggiata allungherà a dismisura le indagini e il seguente processo, costringendo il tribunale a numerose perizie psichiatriche e ad ulteriori indagini.
    Il cadavere di questa fantomatica studentessa non sarà mai rinvenuto né nel fiume né altrove.

    Nel Settembre del 1996, il mostro di Terrazzo si complica ulteriormente la vita. La giornalista Alessandra Vaccari riceve cinque lettere con minacce di morte, scritte e inviate da Giuliano Baratella, un criminale dalla mente instabile che è compagno di cella di Gianfranco Stevanin. Nelle lettere, Baratella si auto-accusa inoltre di essere il colpevole dei delitti "ingiustamente" attribuiti all'indagato. Mentre il tribunale cerca di convincere Stevanin a confessare di aver scritto lui quelle lettere e di averle dettate a Baratella, il 24 Settembre 1996, lungo le rive dell'Adige, viene ritrovato un altro cadavere: si tratta di una giovane donna sconosciuta, trovata priva di capelli e in avanzato stato di decomposizione. L'identità resterà sconosciuta, ma anche questo cadavere finisce nell'inchiesta su Stevanin.

    Il 6 ottobre 1997, dopo l'ennesima perizia psichiatrica che lo dichiara processabile, si apre finalmente il processo contro il mostro di Terrazzo. Gianfranco Stevanin è accusato di cinque omicidi, aggravati di premeditazione e occultamento di cadavere. Anche la madre di Gianfranco, Noemi Miola, verrà processata a parte. Secondo gli inquirenti, la donna è da tempo al corrente dell'attività omicida di suo figlio, ma lo ha sempre protetto. Pare addirittura che sia stata lei a far sparire una testa che il figlio aveva dimenticato nel granaio.
    Stevanin si presenta in tribunale con la testa rasata a zero, per mettere bene in evidenza una cicatrice rimastagli dall'incidente motociclistico del 1976. Su quella cicatrice e su quell'incidente si incentrerà tutta l'opera della difesa.
    Come al solito, come solo in Italia può succedere, il processo si rivela lungo e laborioso, colmo di colpi di scena e sentenze che si negano a vicenda. La prima sentenza, il 28 gennaio 1998, condanna Gianfranco Stevanin all'ergastolo, di cui tre anni da passare in totale isolamento diurno.
    Successivamente, la Corte D'Assise, a sorpresa, assolve l'imputato perché incapace di intendere e di volere. La sentenza definitiva arriva solo il 23 marzo 2001, la emette la Corte D'Appello di Venezia: viene confermato che Gianfranco Stevanin è in grado di intendere e di volere, perciò viene automaticamente confermata anche la prima sentenza, l'ergastolo.
    Noemi Miola è stata invece assolta per mancanza di prove.
    Attualmente, "il mostro" è rinchiuso nel supercarcere di Sulmona (L'Aquila), dove, nell'estate del 2004, ha salvato per ben due volte la vita al suo compagno di cella, un'aspirante suicida. Prima lo ha liberato dalla corda alla quale si stava impiccando, poi gli ha impedito di ingerire delle pillole.

    Edited by Aaron Mcklain - 19/5/2015, 00:19
     
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