Posts written by Investigatore

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    Bergamo, bimbo di 8 anni trovato morto in
    montagna. Scomparsa la madre

    Il piccolo è stato trovato privo di vita vicino ad una tenda montata a lato di un sentiero a 1850 metri di quota,
    sulle montagne della Valle Brembana. Scomparsa la madre quarantenne che pare soffra di depressione


    di Redazione Il Fatto Quotidiano | 29 agosto 2014

    Un bambino di otto anni è stato trovato morto giovedì sera a Cusio , in alta Valle Brembana , nel bergamasco.
    La madre del piccolo, una quarantenne di Ponteranica (Bergamo), non si trova. Secondo quanto riportano i
    giornali locali, madre e figlio erano arrivati in montagna giovedì, sui Piani del Monte Avaro, dove in serata si
    erano accampati con una tenda ai margini del sentiero 109 che porta alla Cà San Marco. A lanciare l’allarme
    è stato un pastore della zona verso le 20 di giovedì sera, dopo aver notato la tenda in una zona poco adatta
    al campeggio, a 1850 metri di altitudine . Secondo il racconto dei gestori del vicino rifugio, il pastore avrebbe
    aperto la tenda pensando ad un malore dell’occupante. Dentro avrebbe trovato due zaini e un foglio con le
    spiegazioni di un farmaco antidepressivo oltre ad un telefono cellulare, tramite il quale si è messo in contatto
    con i parenti della donna e del piccolo, sarebbero stati loro a chiedere di allertare i soccorsi. A quel punto sul
    posto sono arrivati gli uomini del soccorso alpino e i carabinieri che hanno scoperto il corpo del piccolo
    lungo un sentiero. Immediatamente sono partite le ricerche della madre, proseguite per tutta la notte senza
    successo. Pare che la donna, separata dal convivente, soffra di depressione. Al momento gli inquirenti
    mantengono riserbo sulle cause della morte del bambino, per ottenere conferme ufficiali si dovrà attende
    l’esito dell’ autopsia disposta dal magistrato.
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    Benvenuto Riccardo! :)
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    bisognerebbe fare delle targhette
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    Ho controllato è di Agatha Christie e l'ho inserita nel post it.
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    Federico Leonelli, “al killer la droga di ‘The Wolf’. Ma non si può prescrivere”
    L'uomo che ha decapitato a colpi di mannaia la colf ucraina era sotto l'effetto di metaqualone, sostanza usata anche da Jordan Belfort nel film di Scorsese. Lo psichiatra Dell'Acqua: "La polizia dovrebbe indagare su chi gli ha procurato le dosi"



    “La follia è dentro ognuno di noi. Ma un delitto non nasce mai per caso”. Inizia con queste parole il commento di Giuseppe Dell’Acqua, per 17 anni direttore del Dipartimento di salute mentale di Trieste, allievo e poi collaboratore di Franco Basaglia, sull’omicidio avvenuto domenica nella villetta in via Birmania, nel quartiere Eur di Roma. Federico Leonelli, 35 anni, che ha decapitato a colpi di mannaia la colf ucraina di 38 anni, era sotto l’effetto di dosi massicce di metaqualone, noto come “droga di Wall Street”. Un farmaco nato contro l’insonnia, usato come stupefacente negli anni 70 per lo stato euforico che provoca.

    Ma è la stessa droga usata da Jordan Belfort in “The Wolf of Wall Street”. Si può prescrivere?
    La polizia dovrebbe indagare su come facesse a procurarsi le dosi. Non si prescrive mai, che io sappia. È stato sperimentato come ipnotico e quasi sempre usato come droga. I poveri dell’Africa lo prendono per sopportare la miseria.

    La famiglia aveva richiesto l’intervento dei servizi sociali per un tso ma è stato respinto. Leonelli ometteva o abusava delle dosi del farmaco. Come è possibile che non fosse sotto stretto controllo sanitario?
    Non c’è nulla da eccepire. Visto che lui si rifiutava di farsi curare, può darsi che stessero ancora studiando il modo giusto per intervenire. Comunque la psichiatria è una presunta scienza, in quanto falsamente deduttiva: le inferenze le facciamo dopo l’accaduto. Noi psichiatri non possiamo mai essere sicuri prima che una persona stia meditando un gesto estremo.

    Si è trattato di un raptus?
    Il raptus non esiste. Neanche la banalità del male. Piuttosto, ci sono persone che arrivano a un punto di rottura con la vita, non riescono più a sopportare la fatica delle relazioni e della quotidianità. Finchè, giorno dopo giorno, si trovano in una squallida normalità in cui tutto è lecito, perfino ammazzare qualcuno.

    Alla base c’è uno stato depressivo trascurato?
    La depressione è una parola contenitore, abusata. Ogni storia è un caso a sé stante. L’uomo aveva la passione delle armi, voleva arruolarsi nell’esercito di Israele ed era pieno di tatuaggi. Sintomi di un pensiero esasperato . Stava elaborando una sua visione del mondo frutto di un malessere. Se però lo fa un jihadista, lo definiamo terrorista. Se lo fa il novergese che stermina una scuola, è uno schizofrenico. Bisogna stare attenti alle etichette facili. Dietro a gesti del genere, c’è la sofferenza, che si alimenta giorno per giorno finché diventa normale fare del male a sè o agli altri.

    Lei quindi sostiene che la malattia mentale non esiste, ma esistono i problemi che causano disagi, che a volte rimangono senza una soluzione.
    È così. Non dobbiamo difenderci dietro lo schermo del disturbo mentale. Siamo sempre in presenza di un’incredibile malessere, di una persona che non si sente parte di questo mondo, che è in cerca di un posto , non si è sentito importante per qualcuno che stimava, con tanti fallimenti e delusioni alle spalle e per cui nessuno ha davvero fatto il tifo.

    Quando è giusto intervenire con lo psicofarmaco?
    Lo psicofarmaco è solo uno strumento. La sua prescrizione deve sempre rientrare in un progetto di recupero più ampio, che prevede un percorso di psicoterapia, di aiuto nella vita quotidiano e sul lavoro. Puntare tutto sulle medicine produce disastri. I medici di base sono addestrati dalle ditte farmaceutiche a prescrivere antidepressivi per i disagi più lievi. Ma è un errore. Prima bisogna provare con il dialogo. Una volta è bastato che io parlassi a un paziente per qualche ora, farlo riflettere, perché stesse meglio.

    Da Il Fatto quotidiano del 28 agosto 2014
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    Roma, agguato in strada all’Anagnina: 40enne incensurato ucciso in auto
    La vittima è Pietro Pace, venditore ambulante. A sparare due uomini da uno scooter. E' accaduto in via Gasperina, alla periferia della Capitale. Dalle modalità dell’esecuzione l’ipotesi più accreditata sembra essere quella di un regolamento di conti maturata in ambienti legati alla criminalità organizzata

    di Redazione Il Fatto Quotidiano | 27 agosto 2014
    Roma, agguato in strada all’Anagnina: 40enne incensurato ucciso in auto
    Più informazioni su: Omicidio, Roma.

    Si chiamava Pietro Pace l’uomo ucciso ieri notte a Roma. Aveva 40 anni, era incensurato e faceva il venditore ambulante. Un agguato in piena regola alla periferia sud-est della Capitale. Due uomini a bordo di una moto hanno affiancato l’auto della vittima e hanno aperto il fuoco. Almeno sei i colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinata contro l’uomo che si trovava in una Volkswagen Golf nera. Tre proiettili lo avrebbero raggiunto alla testa e ucciso.

    L’omicidio è avvenuto dopo le 21 in via Gasperina, in zona Anagnina. Una strada dove affacciano diversi palazzi, a poche centinaia di metri dall’Ikea. A dare l’allarme un residente. L’uomo è stato trovato accasciato all’interno della macchina, ferma sul ciglio della strada con i fari ancora accesi. Inutili i soccorsi, perché per lui non c’era più niente da fare. Sul posto sono intervenute le volanti della Questura di Roma, la polizia scientifica e gli investigatori della Squadra Mobile. Dalle modalità dell’esecuzione l’ipotesi più accreditata sembra essere quella di un regolamento di conti maturata in ambienti legati alla criminalità organizzata.

    E intanto è scattata la caccia ai due killer, vestiti di scuro e con il volto coperto da caschi. Gli investigatori stanno raccogliendo varie testimonianze per far luce sull’accaduto. Qualcuno avrebbe i due killer sulla moto dire qualcosa alla vittima che, dopo aver tentato di scappare in auto, sarebbe stata raggiunta dai colpi. Ancora da accertare se abbia sparato un’unica pistola o due. Elementi utili alle indagini potrebbero arrivare anche dalle immagini registrate delle telecamere di videosorveglianza degli esercizi commerciali della zona che potrebbero aver ripreso gli assassini durante la fuga.
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    Donna decapitata, Leonelli andò in Israele per arruolarsi ma venne respinto
    L'ambasciata israeliana conferma che Leonelli, l'assassino dell'Eur di Roma, arrivò all'aeroporto di Tel Aviv ma gli fu vietato l'ingresso. Autopsia: donna uccisa da 40 coltellate, quella mortale al cuore

    di Redazione Il Fatto Quotidiano | 27 agosto 2014

    Federico Leonelli, l’uomo che ha ucciso e decapitato Oksana Martseniuk nella villa dell’Eur di Roma, probabilmente aveva molte ossessioni, ma una lo perseguitava maggiormente nell’ultimo periodo: andare in Israele per arruolarsi nell’esercito e combattere contro i palestinesi. Il particolare sul killer della domestica ucraina era già emerso dalla testimonianza del proprietario di casa e amico dell’assassino, Giovanni Ciallella, raccolta dagli investigatori della squadra mobile. Ma adesso la conferma sull’ennesimo dettaglio inquietante di questa vicenda viene confermato da Amit Zarouk, portavoce dell’ambasciata d’Israele. Il diplomatico ha fatto sapere che Leonelli cercò di entrare nel Paese, ma all’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv venne respinto e gli venne vietato l’ingresso nello Stato israeliano per 5 anni. Le autorità, infatti, sospettavano che le sue motivazioni per entrare nel Paese fossero “diverse da quelle turistiche” e che il killer volesse trattenersi per un periodo molto più lungo di quello che aveva dichiarato.

    Altri particolari raccapriccianti su quello che è accaduto nella villa dell’Eur – dove Leonelli abitava da circa due mesi ospite del proprietario che era in vacanza con la famiglia – emergono dalle analisi sul cadavere della donna massacrata, che poco prima della mattanza espresse a Ciabella le sue preoccupazioni su quell’uomo inquietante che amava le armi. Messaggi che però non le hanno salvato la vita. Prima di decapitarla, Federico Leonelli ha colpito con più di 40 coltellate Oksana, non risparmiando nemmeno il volto. A confermarlo è Giovanni Arcudi, direttore dell’istituto di medicina legale dell’Università Tor Vergata che si sta occupando dell’autopsia della 38enne e di quella del suo assassino. ”Oltre 40 lesioni da arma bianca su tutto il corpo hanno causato il decesso” ha dichiarato il professore all’Adnkronos salute, che ha aggiunto: “E’ stata decapitata dopo la morte, nel tentativo di fare a pezzi il cadavere per trasportarlo via”. La coltellata mortale, per Oksana, è arrivata al cuore. E per compiere la sua mattanza il killer si è servito di due coltelli (tra cui una sorta di mannaia), probabilmente comprati su un sito internet israeliano (il dettaglio deve essere ancora accertato). Già dopo aver effettuato i primi esami esterni sul corpo della domestica, Arcudi aveva commentato: “Non ho mai visto una cosa del genere. Sono rimasto impressionato dallo strazio subito dalla donna. Un’atrocità che sorprende anche chi, come me, ha fatto molte autopsie di vittime di armi bianche”.

    Ma al disegno messo in atto da Leonelli mancava ancora un tassello, il più macabro. L’uomo, dopo aver scatenato la sua furia contro la domestica ucraina, voleva farla a pezzi e chiudere i suoi resti in sacchi neri che aveva già preparato. Ma il suo piano è stato interrotto dall’intervento della polizia. E proprio dagli esami autoptici sul cadavere del killer, che si sono tenuti ieri (martedì 26 agosto), è emerso che Leonelli è stato raggiunto da due colpi d’arma da fuoco (uno al cuore e l’altro appena sotto la spalla sinistra), sparati dai poliziotti intervenuti dopo le segnalazioni dei vicini che hanno sentito le urla della donna. Una volta arrivati alla villa di via Birmania, gli agenti e i vigili del fuoco si sono visti correre incontro l’assassino, vestito con abiti mimetici e con il volto nascosto da una maschera, che brandiva un coltellaccio insanguinato. Si sono sentiti minacciati e hanno aperto il fuoco. Questa la loro versione. Le indagini, oltre a chiarire i particolari dell’omicidio di Oksana, dovranno quindi approfondire anche la dinamica della morte dell’omicida. Sul suo corpo intanto sono stati effettuati anche gli esami tossicologici per accertare se il 35enne fosse sotto l’effetto di sostanze o farmaci. Accertamenti chiesti dalla famiglia di Leonelli e disposti dal pm della Procura di Roma, Luigi Fede.

    Secondo il Corriere della Sera, l’omicida – che era stato in cura presso una struttura privata per problemi psichici – sarebbe stato sotto l’effetto di metaqualone, potente farmaco antidepressivo con effetti allucinogeni, di cui Leonelli avrebbe abusato. Un medicinale meglio conosciuto come “la droga di Wall Street”, utilizzata da Jordan Belfort, protagonista del film The Wolf of Wall Street, interpretato da Leonardo Di Caprio. Il particolare sull’abuso di farmaci dagli effetti allucinogeni viene confermato anche dalle indagini. All’uomo in passato sarebbe stata diagnosticata una forma di schizofrenia che curava con una serie di medicinali. Nelle scorse settimane gli psichiatri che lo seguivano – come conferma l’avvocato Pina Tenga che assiste la sorella di Leonelli, Laura – avevano allertato l’uomo che il “protocollo farmacologico aveva un dosaggio troppo alto“. I familiari erano a conoscenza degli scatti d’ira e delle reazioni violente che il giovane aveva anche in casa, e proprio per questo avevano cercato di aiutarlo. La condizione mentale di Federico, con ogni probabilità, è stata resa ancora più instabile dalla morte dovuta a un aneurisma cerebrale della sua fidanzata storica, con cui aveva vissuto per 17 anni.
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    Leonarda Cianciulli leonarda-cianciulli-00


    Nome Completo: Leonarda Cianciulli

    Soprannome: La saponificatrice di Correggio

    Nata il: 1893

    Morta il: 15 Ottobre 1970

    Vittime Accertate:
    3

    Modus operandi: Omicidio per mezzo di scure. Bollitura dei cadaveri per ricavarne sapone. Utilizzo del sangue delle vittime nella preparazione di biscotti e pasticcini.


    Leonarda Cianciulli: infanzia e famiglia

    Leonarda Cianciulli nacque a Montella, in provincia di Avellino nel 1892, da Emilia di Nolfi e Mariano Cianciulli.
    La sua fu un’infanzia difficile, da lei così descritta: "Ero una bambina debole e malaticcia, soffrivo di epilessia, ma i miei mi trattavano come un peso, non avevano per me le attenzioni che portavano agli altri figli. La mamma mi odiava perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l’intenzione di morire, e mangiai due cocci di vetro: non accadde nulla".

    Nel 1914 sposò Raffaele Pansardi, un impiegato dell’ufficio del registro e andò a vivere nell’Alta Irpinia, ad Ariano Irpino.

    Nel 1930, in seguito al tragico terremoto dell’Irpinia, la loro casa venne distrutta e decisero di trasferirsi a Correggio, in provincia di Reggio Emilia.
    Qui, grazie ai soldi del risarcimento statale concesso ai terremotati e al commercio degli abiti usati portato avanti da Leonarda, le condizioni dei coniugi Pansardi si risollevarono.

    La Cianciulli ebbe 17 gravidanze, ma le sopravvissero solamente 4 figli. Probabilmente disperata da tante perdite, questi 4 bambini divennero per lei un'ossessione.

    Nel 1939, Giuseppe, il figlio maggiore da lei prediletto, che studiava lettere all’Università di Milano e lavorava come istitutore al Collegio Nazionale di Correggio, fu chiamato a prestare il servizio militare e la minaccia dell’entrata dell’Italia in guerra era sempre più incombente. Bernardo e Biagio, invece, frequentavano il ginnasio, e Norma, l’ultima figlia, andava all’asilo.

    Nella Cianciulli cominciarono a farsi strada pensieri sempre più tormentati, tanto che decise che per salvare la vita dei suoi figli avrebbe dovuto fare dei sacrifici umani. Sembra che anni prima si fosse fatta leggere la mano da una zingara e che questa le avesse detto: "Ti mariterai, avrai figliolanza, ma tutti i figli tuoi moriranno". Quindi si era rivolta a un’altra zingara ancora, che le aveva detto: "Vedo nella tua mano destra il carcere e nella sinistra il manicomio".

    Di quei momenti così tragici ricordava alcuni pensieri: "Non posso sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sogno le piccole bare bianche di quegli altri, inghiottiti uno dopo l’altra dalla terra nera… per questo ho studiato magia, ho letto libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture e spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli".

    Leonarda frequentava tre amiche, donne sole e non più giovani che avrebbero volentieri fatto qualsiasi cosa per cambiare le loro vite.

    Il busto rappresentante Leonarda Cianciulli conservato al Museo di Arte Criminologica
    foto: un busto della Cianciulli conservato al Museo di Arte Criminologica di Roberto Paparella.



    Leonarda Cianciulli: Primo omicidio

    La prima vittima si chiamava Faustina Setti. La Cianciulli le disse di averle trovato un marito a Pola, le consigliò di vendere tutto, ma si raccomandò con l’amica di non parlarne con nessuno perché avrebbe potuto scatenare delle invidie.

    Il giorno della partenza, Faustina si recò a casa sua per salutarla. Dato che Faustina era semi analfabeta, Leonarda le offrì il suo aiuto, invitandola a scrivere alcune lettere e cartoline per amici e parenti che avrebbe poi spedito da Pola, nelle quali diceva di stare bene e che tutto procedeva per il meglio.

    L’amica però non giunse mai a destinazione.
    Quel giorno stesso, la Cianciulli la uccise a colpi di scure e la trascinò in uno stanzino.
    Qui sezionò il cadavere e fece colare il sangue in un catino.

    Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio

    A tal proposito, nel suo memoriale, scrisse: "Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comperato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, e mescolai il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io".

    Qualche giorno, dopo il suo primo omicidio, la "saponificatrice" (come sarà in futuro chiamata) mandò il figlio Giuseppe fino a Pola affinché imbucasse le lettere della vittima per farle giungere ai destinatari con il timbro postale giusto e vendette i suoi indumenti.

    Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio: gli altri omicidi

    La seconda vittima si chiamava Francesca Soavi, sognava anche lei di andar via da Correggio, ma non sperava nel matrimonio e si sarebbe accontentata di trovare impiego in un altro luogo.
    Leonarda le disse di averle trovato un lavoro nel collegio femminile di Piacenza. Francesca accettò con gratitudine e la mattina del 5 settembre 1940 raggiunse l’amica per salutarla.

    La Cianciulli convinse la donna, senza fatica, a scrivere due cartoline che avrebbe dovuto spedire da Correggio per annunciare ai conoscenti la partenza evitando di far capire ai ficcanaso la destinazione.

    Posata la penna, Leonarda, come da copione, si avventò sulla donna con la sua scure e l’uccise.

    Da questo omicidio però guadagnò solo le 3.000 lire che la Soavi aveva con sé. Per ricavare maggiori guadagni, i giorni successivi Leonarda disse che era stata incaricata da Francesca a vendere tutti i suoi beni e i mobili. Giuseppe, su incarico della madre partì per Piacenza e spedì le cartoline.

    La terza e ultima vittima fu un’ex-cantante lirica, cinquantatreenne, costretta a vivere in miseria. Si chiamava Virginia Cacioppo.

    Con lo stesso metodo, Leonarda le propose un incarico a Firenze, come segretaria di un misterioso dirigente teatrale che, magari, avrebbe potuto reintrodurla nell’ambiente. Pregò anche questa di non farne parola con nessuno, dicendole che l’uomo era stato suo amante e che se si fosse sparsa la voce che lei lo vedeva ancora la sua famiglia l’avrebbe disprezzata.

    Virginia, entusiasta della proposta, mantenne la promessa e il 30 settembre 1940 si recò da Leonarda.

    Di lei la Cianciulli disse: "Finì nel pentolone, come le altre due… la sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce".


    Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio: la cattura

    Fu la cognata dell’ultima vittima a insospettirsi dell’improvvisa sparizione di Virginia, che aveva visto entrare nella casa della Cianciulli prima di far perdere le sue tracce per sempre. La casa della stessa donna che poi aveva messo in vendita i vestiti della Cacioppo.

    Decise quindi di confidare al questore di Reggio Emilia i suoi sospetti, il quale seguì le tracce di un Buono del Tesoro di Virginia, presentato al Banco di San Prospero dal parroco di san Giorgio, a Correggio. Convocato dal questore, il prete disse di aver ricevuto il buono da Abelardo Spinarelli, amico della Cianciulli.

    Lo stesso Spinarelli dichiarò di averlo ricevuto dalla Cianciulli per il saldo di un debito.

    Le tracce condussero quindi le indagini fino a Leonarda, la quale confessò i suoi tre omicidi senza fare molta resistenza.

    Gli inquirenti però non riuscivano a credere che una donna anziana, bassa e grossa avesse potuto fare tutto questo da sola e andarono alla ricerca di un complice che l’avesse aiutata a compiere i delitti. Il sospettato numero uno era il figlio Giuseppe che al processo (1946) dichiarò di aver spedito le lettere, senza però sapere la verità.

    La madre, intenzionata a difenderlo con tutte le sue forze, propose una dimostrazione atta a far capire che lei era l’unica artefice di quella mattanza.

    Davanti a magistrati e avvocati, in soli dodici minuti, sezionò il cadavere di un vagabondo morto in ospedale e procedette con le tecniche di saponificazione.


    Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio: la condanna


    Leonarda Cianciulli fu riconosciuta come unica autrice dei tre omicidi, venne condannata a 30 anni di reclusione e a tre anni di manicomio giudiziario.

    In carcere scrisse, lavorò a uncinetto e cucinò biscotti che nessuno aveva voglia di assaggiare.
    Riceveva inoltre le visite regolari dei figli.

    Il 15 ottobre del 1970, morì nel manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli, stroncata da apoplessia cerebrale.

    Informazioni tratte dal sito latelanera
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    Ah ok perfetto! :)
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    di chi è marpat?
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    Qui potete consigliare le frasi o le citazioni da inserire nel post it del forum, non dovranno essere obbligatoriamente di Sherlock Holmes ma anche di altri investigatori , o comunque di qualsiasi cosa attinente al forum .
    Grazie a tutti coloro che daranno il loro contributo!
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    Benvenuto nel forum! :)
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    Benvenuto! :)
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    Grazie per l informazione e benvenuto:-)!
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    si giusto si potrebbe fare!
234 replies since 27/10/2011
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